Spiacenti. La pagina del blog che cerchi non esiste.
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« Se dovessi cadere lasciate che il mio sacrificio, come quello di tanti altri Martiri, rappresenti semplicemente il pegno della nostra rinascita. La tragedia dell'Italia vorrà forse il mio sangue? Io l'offro con l'impeto della mia fede. Lasciate che sgorghi senza equivalente, senza rappresaglie e senza vendetta. Così soltanto sarà caro e fecondo per la mia patria: dono e non danno, atto d'amore e non fomite d'odio, necessità di dolore e non veicolo di disunione maggiore. »
(Aldo Resega nel suo testamento spirituale)
Milano – Alle 6 del mattino vengono fucilati quattro squadristi della Brigata Nera “Aldo Resega”, “rei di reati comuni contro il patrimonio, compiuti ripetutamente e abusando delle funzioni di comando di cui erano investiti”. La “virile decisione” - dice un comunicato stampa della Brigata – è stata presa dal comandante militare della “Resega”, “sentito il parere del Consiglio militare della stessa”. Altri tre squadristi vengono radiati dalla Brigata e dal partito, e inviati al lavoro obbligatorio in un campo d’internamento. Il più giovane dei puniti ha 27 anni; gli altri due 30 e 46 anni.
“Aldo Resega condivideva l’ostilità dei milanesi per i Tedeschi: motivata da reminiscenze storiche risalenti al Risorgimento, e che ora riaffiorava, alimentata dal loro cipiglio rude, dai comandi secchi, dall’elmo calato sulla fronte, dall’aria di padronanza sulle nostre cose, dalla caccia agli Italiani ritenuti tutti dei traditori. Diverse volte lo avevo consigliato di essere prudente e di usare il massimo tatto, se volevamo ottenere qualche cosa a tutela degli interessi italiani. Un incidente avvenuto il 13 novembre illustra bene quanto detto….”
(segue la descrizione del fatto: la sera del 13, Resega, Costa e altri due Ufficiali fascisti, recatisi a cena in un locale, erano venuti a diverbio con alcuni Tedeschi, fino a fronteggiarsi armi in pugno….la cosa si era poi risolta per l’intervento di un Ufficiale delle SS)
“….Certo è che da quella sera i Tedeschi dovettero sospettare come antitedesco, oltre a Piero Parini, Capo della Provincia, anche il Commissario federale dei fasci Aldo Resega….Da quella sera Resega evitò ogni contatto con il Comando tedesco, e lasciò a me le “gatte da pelare”, come le definì lui stesso. Un rapporto tedesco al duce, fattogli pervenire tramite l’ambasciatore, manifestava il sospetto che Resega fosse ostile ai Tedeschi, per cui “non era gradita” la sua permanenza nella carica di capo del fascismo della Provincia di Milano”
(da: Vincenzo Costa, “L’ultimo Federale”, Bologna 1997)
GUIDO MARI di Milano è studente universitario quando nel '44 viene chiamato alle armi. E’ assegnato alla Brigata “Resega” e fa il suo dovere di combattente disciplinato e fedele. Nell'aprile del '45 si trova col suo reparto a Milano. Il giorno 25 fa parte della colonna che, al comando del Ten. Col. Gimelli raggiunge il presidio di Legnano che non dà più notizia di sé. Dopo inutili tentativi di entrare in città, nello stesso giorno il comandante decide di sospendere la lotta e di tornare a Milano con la colonna che ha avuto morti e feriti. A Nerviano la colonna viene bloccata dai partigiani. Dopo vani sforzi per aprirsi la via, il comandante ordina di cessare il fuoco e si presenta ai partigiani per la resa. Questa viene accettata, le armi sono deposte. Al mattino tutti i componenti del reparto sono incolonnati e condotti a Parabiago, dove vengono “custoditi” fino al 29. Alle ore 9 di tal giorno arriva una squadra di partigiani al comando di “Garibaldi”, il quale ordina agli ufficiali di seguirlo. Gli ufficiali sono: Ten. Col. Gimelli Ferdinando, cap.no Sala Osvaldo, un tenente, i sottotenenti Campioni Fernando e Gimelli Adriano, quest'ultimo figlio del comandante. Due militi, Cappelli e Guido Mari, o perché non riflettono sulla sorte a cui si espongono, o per innato sentimento di fedeltà, seguono i cinque ufficiali. Vengono tutti portati a Nerviano davanti a un tribunale del popolo. Dopo contrasti e proteste dei componenti del tribunale e dello stesso presidente, l'allora sindaco di Nerviano, le pressioni e gli espedienti di “Garibaldi” fanno sì che tutti sono condannati a morte. Portati davanti alle mura del cimitero, una folla vi si raccoglie ed osserva i condannati che si confessano serenamente dal parroco del luogo accorso in fretta. Dopo la confessione, i condannati consegnano al sacerdote oggetti personali e affidano i saluti per le loro famiglie. All'ultimo istante avviene un fatto che merita rilievo, perché dimostra che anche nelle orrende carneficine della primavera del '45 talvolta brilla una luce nelle stesse folle troppo simili, spesso, a quella che gridò il crucifige nella Passione. Alla folla disposta a semicerchio davanti ai condannati, il Ten. Col. Gimelli si rivolge e chiede grazia per il proprio figlio. Un mormorio di consenso si leva e lo stesso “Garibaldi” è costretto a sottrarre il sottotenente Adriano. Allora si leva un'altra voce: - Graziate il più giovane! - E la voce è seguita da molte altre che imperiosamente costringono “Garibaldi” a sottrarre il più giovane della schiera, che risulta essere uno dei due militi che avevano voluto accompagnare i loro ufficiali. L'altro milite è Guido Mari, il quale, pur avendo fatto presente ch'egli è semplice soldato e non ufficiale, non trova grazia. La sua straordinaria fedeltà gli è costata la vita.
Al sacerdote che l'ha assistito ha consegnato questa lettera:
Miei cari, muoio senza rimpianti, perché so di avere la coscienza pulita e so di avere compiuto il mio dovere verso la Patria.
Mai come ora sento di amarvi e vi sento vicini. Non piangete troppo su di me e ricordatemi sempre nelle vostre preghiere.
So di aver sempre fatto il mio dovere di figlio e di avervi sempre amato con tutto me stesso, anche se forse non ve l'ho saputo sempre dimostrare.
Perdonatemi se qualche dolore vi ho dato. Iddio vi protegga e vi dia la forza di sopportare questo grande dolore.
Che il mio sangue frutti almeno qualcosa di buono per l'Italia che tanto ho amato Vi abbraccio e vi bacio forte forte.
Guido